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Lorena Marinucci, in arte “Lorenachi” – Creativita’, identita’ e impresa al femminile

Lisa Di Bello intervista Lorena Marinucci

 

Fare impresa, per una donna, nel mondo creativo non è solo una scelta professionale: è spesso un atto di coraggio. Lorena Marinucci lo sa bene. Visual designer, illustratrice e artista visiva, ha trasformato la sua passione in un lavoro vero, scegliendo di farlo con radici ben piantate nella sua terra, l’Abruzzo. In un settore ancora poco definito nei suoi confini imprenditoriali, Lorena ha saputo costruire un’identità professionale autentica, fondata su competenze solide, metodo, sensibilità e una visione fortemente personale. Il suo è un percorso fatto di studio, tentativi, cadute e ripartenze, ma anche di libertà e consapevolezza: quella di non voler rinunciare né alla creatività né alla propria voce. In questa intervista ci racconta cosa significa oggi essere una giovane donna imprenditrice nel settore creativo, tra difficoltà strutturali, desiderio di radicamento nei territori e l’urgenza di costruire un linguaggio visivo che sia anche strumento di cambiamento. Un esempio concreto di imprenditoria femminile che unisce competenza e cuore, rigore e visione, indipendenza e rete.

Lorena, sei una giovane donna imprenditrice in un settore, quello creativo, spesso difficile da “inquadrare” dal punto di vista del business. Qual è stato il tuo primo passo concreto per trasformare la tua passione in una professione?

Il primo passo è stato smettere di aspettare il “permesso” di farlo. Poi però ho fatto anche tutto il resto: ho scelto consapevolmente un percorso di studi che mi rispecchiasse, laureandomi in Graphic Design e proseguendo con due master, uno in Web & Multimedia Design, l’altro in Video Editing e Post Production. A quel punto non era più solo passione, era un lavoro da costruire. E l’ho fatto partendo da dove si parte: la famosa gavetta. Ho preso i primi clienti, ho lavorato anche gratis, ho affiancato professionisti più esperti della mia zona per capire davvero cosa significasse “fare la designer” al di fuori della teoria. È stato tutto tranne che immediato, ma ogni progetto, anche il più piccolo, è stato un tassello per arrivare dove sono oggi.

Hai deciso di rimanere in Abruzzo, una scelta coraggiosa in un’epoca in cui molti giovani professionisti si spostano verso le grandi città. Cosa ti ha spinta a investire nella tua terra? Quali opportunità e limiti hai incontrato?

Sì, è stata una scelta coraggiosa… soprattutto perché io sono stata la prima a scappare da qui. Anni fa vivevo questo territorio come qualcosa di stretto, privo di stimoli e di vere occasioni di crescita – soprattutto professionale. Per questo ho scelto di andarmene, passando per Roma, Bologna, Pescara, Londra… città diverse, che mi hanno formata sia come designer che come persona.

Ma poi, com’è giusto che sia, la mia crescita interiore è andata avanti, e a un certo punto ho sentito il bisogno di radicarmi, di ritrovare un equilibrio più profondo. E ho capito che proprio la mia terra, che un tempo sentivo distante, poteva diventare il mio punto di forza. Sono tornata in Abruzzo perché volevo dimostrare a me stessa che il talento non ha bisogno di codici postali blasonati. È una scelta che mi costa, a volte. Ma è anche una dichiarazione politica e affettiva: qui c’è un ritmo diverso, una qualità del tempo che mi nutre. Ho trovato lentezze, certo, e un mercato non sempre pronto. Ma anche connessioni sincere, paesaggi che ti rimettono in asse, e la possibilità di costruire qualcosa di nuovo dove ancora non c’è. C’è spazio per costruire, e perché anche restare (o tornare) può essere un atto rivoluzionario.

Il tuo lavoro ruota attorno alla creatività, ma anche alla strategia e alla comunicazione visiva. Come riesci a bilanciare ispirazione artistica e rigore progettuale?

Con un piede nel sogno e l’altro nel mio “Day Note” da organizzare chirurgicamente! Soprattutto con tanta, tantissima disciplina. L’ispirazione da sola non basta: va organizzata, canalizzata, resa concreta.

Negli anni, grazie alla formazione e al coaching, ho costruito e affinato dei metodi di lavoro che seguo tuttora, e che continuo ad aggiornare per migliorarmi sempre. Dietro ogni progetto c’è tanta parte creativa libera ma ci sono fasi di ricerca, analisi, sintesi visiva e test. La creatività non è solo una scintilla: è un processo che richiede costanza, lucidità e cura e, per me, il rigore progettuale non frena la libertà espressiva ma anzi, la rende possibile. Diciamoci la verità: l’ispirazione va e viene, ma senza metodo non diventa mai reale.

Guardando il tuo percorso, hai attraversato anche momenti complessi: hai aperto una partita IVA, che poi hai chiuso. Come hai vissuto quel passaggio e che lezione ti ha lasciato quel “fallimento”?

Altro che una sola volta: la partita IVA l’ho chiusa per ben due volte. Sono ufficialmente alla terza, e alla faccia di tutti i “fallimenti”, direi che continuo a rispondergli a tono. Ogni volta che l’ho chiusa è stato doloroso, certo, e ho vissuto quel gesto come una sconfitta definitiva. Mi sentivo una fallita. L’aver attraversato quei fallimenti però mi hanno fatta arrivare ad una presa di coscienza: non ero pronta, o non era il momento giusto. E va bene così.

Ho imparato che fallire non significa smettere: significa rallentare, ripensare le cose, ripartire con più consapevolezza. Il fallimento, quando lo guardi in faccia, lo puoi anche privarlo della retorica solo negativa che si porta dietro, soprattutto nella nostra cultura, e usarlo come carburante. Ora so che ogni crollo è solo un’altra forma di ri-creazione.

In un mondo che cambia rapidamente, la formazione continua è fondamentale. Come ti tieni aggiornata e quali sono le competenze che ritieni oggi indispensabili per chi lavora nella comunicazione visiva?

Sono una curiosa cronica: leggo, sperimento, studio, mi aggiorno costantemente. Seguo corsi, workshop, coaching… e faccio quello che ogni designer dovrebbe fare: guardarmi intorno, con occhi nuovi. Oggi, nella comunicazione visiva, non basta più saper “fare bello”: servono sensibilità estetica, capacità narrativa, versatilità e padronanza tecnica, tanta lucidità strategica e più ogni altra cosa empatia e ascolto. Bisogna capire profondamente chi si ha davanti. E poi c’è l’AI. Che non è il nemico, ma un’alleata.

Bisogna farci pace, smettere di temerla o demonizzarla, e iniziare a integrarla nei processi creativi con intelligenza. L’intelligenza artificiale non ci sostituisce: ci sostiene, ci velocizza, ci permette di concentrarci sulle parti davvero umane del nostro lavoro. È un’opportunità enorme, se sappiamo gestirla con etica e consapevolezza.

La solitudine professionale è spesso un rischio per i freelance e i creativi. Quanto conta per te il networking? Hai trovato in Abruzzo una rete con cui confrontarti, crescere, collaborare? Conta tantissimo. Da sola posso anche fare tanto, ma con le persone giuste posso fare meglio, e con più gioia e leggerezza direi. In Abruzzo ci sono realtà piccole ma potentissime, che lavorano bene e con cuore. Essendomi ritrasferita qui da poco mi trovo a dover riscoprire il contesto ma posso dire che la mia rete è fatta di connessioni sincere, non solo “funzionali”. Cerco alleanze con chi ha visioni affini, anche se non siamo sempre fisicamente vicini. E poi ho imparato ad inventarmi la mia rete, se non la trovo già pronta ed impacchettata.

Il tuo portfolio è ricco di progetti che raccontano storie visive forti e personali. Quanto di te – della tua identità, sensibilità, visione – entra nel tuo lavoro?

Tutto. Non potrei fare altrimenti. Io sono dentro ogni progetto, anche quando non si vede. La mia estetica, la mia storia, il mio modo di vedere e percepire il mondo. Tutto si riflette nel modo in cui scelgo un colore, un font, un logo, una composizione. Non riesco a fare lavori “neutri”. Ogni progetto che realizzo porta dentro una parte di me, perché è il mio modo naturale di lavorare: viscerale, empatico, identitario. Negli ultimi anni ho capito sempre più quanto questo non sia un limite, ma un valore. Anzi, oggi so che le persone mi scelgono non nonostante il mio modo di essere, ma proprio per quello. Mi scelgono perché sono queer, ironica, sensibile, visionaria, punk e libera. Non potrei mai spersonalizzare il mio lavoro: sarebbe come lasciarlo a metà. La mia identità è il mio filtro creativo e chi arriva a me, lo fa anche per questo.

Che consiglio daresti a una giovane designer abruzzese che oggi vuole iniziare un percorso simile al tuo, ma ha paura di non “farcela”?

La paura è normalissima. Continuo ad averla anche io tutt’oggi. Ma non farcela non è il peggio che può succedere: il peggio è non provarci. Ad una giovane designer abruzzese direi: ”Parti, provaci, fai il primo passetto anche se tremi, anche se sei nel caos più totale, anche se non è tutto chiaro. Sbaglia, impara, cambia idea. Trova la tua voce, anche se è fuori dal coro (soprattutto se è fuori dal coro) e vedrai che il caos diventerà meno caos. E ricordati: non serve il permesso di nessuno per iniziare. Solo il tuo.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi professionali? E c’è un sogno che ancora tieni nel cassetto?

I sogni nel cassetto? Ne ho davvero una marea che forse non basterebbe una vita. E li tengo tutti lì solo il tempo di prepararli a veder la luce ^^. Tra quelli più urgenti c’è sicuramente il desiderio di tornare a lavorare come graphic designer per il cinema, per film o serie a livello internazionale. Ma non voglio fermarmi lì: vorrei creare uno spazio in cui tutte le mie anime convivano, quella da designer, da illustratrice, da artigiana, da artista circense, da creativa visiva e narrativa. Vorrei unire le forme d’arte che mi rappresentano in un linguaggio unico e riconoscibile.

E poi, più di tutto, voglio usare il mio lavoro per dire qualcosa: trasformare il visual in una forma concreta di attivismo, diventare una vera visual activist. Perché “fare rumore” e lasciare il segno anche attraverso un’immagine credo sia una delle forme più potenti di libertà espressiva che può farci riflettere e migliorare il mondo in cui viviamo.

Lisa Di Bello

Digital Promoter del Punto Impresa Digitale della CCIAA Chieti - Pescara, formatrice nelle scuole e tra la gente di temi relativi al digitale. Amo la montagna e le salite, leggo romanzi e mi circondo di gente allegra.