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La transizione e’ (anche) un fatto culturale: dallo stop al green deal ideologico alla ripresa degli investimenti industriali

La transizione energetica, per come era stata concepita dall’Unione Europea prima della pandemia, ha subito una battuta d’arresto poiché il contesto geopolitico ed economico mondiale – a seguito della crisi pandemica e del conflitto ucraino – non è più quello del Green Deal europeo del 2019. L’ultimo dato disponibile sui consumi energetici, del resto, ci offre diversi spunti di riflessione. Nel 2023 i consumi globali sono cresciuti del 2%, superiori alla media dell’ultimo decennio. Questa crescita è stata sostenuta per l’1,6% dai combustibili fossili e per lo 0,4% dalle rinnovabili. Se intendiamo la transizione come un processo di sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili, questo percorso non è ancora cominciato. Le fonti rinnovabili non riescono a coprire la nuova richiesta di energia, perché sono aggiuntive ma non sostitutive, e non sono programmabili. Le fonti fossili, peraltro, restano la principale fonte di energia, e il loro contributo alla produzione mondiale continua ad essere dell’80%, alimentata soprattutto dalla richiesta cinese, indiana e statunitense. La competitività globale, l’innovazione, basti pensare alla necessità di energia richiesta dai data center, ma anche dalle nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale al quantum computing, lo sviluppo e la crescita dei territori, non possono attendere che si stabilisca un nuovo equilibrio tra le fonti energetiche e che vengano meno i tempi dei condizionamenti ideologici: occorrono scelte coraggiose, rapide, che cavalchino l’onda della trasformazione e il bisogno di costruire un’autonomia energetica che l’Europa e l’Italia, in particolare, non possono più rimandare. Il ritardo nella produzione di energia sottrae opportunità al sistema-Paese nella sua interezza. Famiglie e imprese italiane si trovano, oggi, a pagare l’energia a un prezzo almeno tre volte più alto rispetto agli altri Stati europei. Così come elevato è il prezzo che l’Europa – i suoi cittadini, le sue imprese, i suoi lavoratori – sta pagando per perseguire l’idea di un’economia sostenibile e climaticamente neutra. Oltre alla limitazione dei condizionamenti ideologici, per attuare una transizione giusta bisogna continuare ad investire sull’idroelettrico, moltiplicare i rigassificatori, rinnovare e implementare la rete dei gasdotti per renderla sempre più efficiente in vista anche del passaggio dell’idrogeno, sganciare l’elettricità (rinnovabile e nucleare) dal prezzo del gas, realizzare la tassonomia che invita a investire nel nucleare e nel gas come fonti sostenibili. Perché se vogliamo accelerare verso la produzione di energia pulita, nulla è più sostenibile del nucleare di nuova generazione. Per far questo è necessario favorire un sistema della ricerca autonomo e competitivo, favorire la ripresa degli investimenti industriali e affermare con forza il valore della neutralità tecnologica, per garantire che la base economica tradizionale di tante regioni europee non venga snaturata o, addirittura, azzerata. Il sistema produttivo europeo è costituito da piccole ed eccellenti realtà manifatturiere che rischiano di essere fagocitate non solo dai competitor internazionali, ma dalle stesse politiche industriali e ambientali che antepongono il catastrofismo alla sopravvivenza della nostra economia e della nostra cultura. E’ proprio qui che si gioca la partita più importante, sul fattore culturale, perché l’economia di un Paese non è più solo una questione meramente numerica, ma è strettamente connessa alla crescita globale. Crescere significa diminuire i divari: economici, produttivi, sociali. In quest’ottica, bisogna ripartire dai territori, che devono necessariamente partecipare alla costruzione del futuro. E poiché non tutti i territori hanno la stessa base di partenza, ma hanno diversi elementi di forza ma anche di vulnerabilità, hanno bisogno, ognuno, di azioni specifiche e mirate. Sulla base di indicatori neutri definiti a livello europeo, certo, ma che possano includere tutti i tipi di sfide legati al tema della transizione, senza preclusioni. Con quella neutralità, appunto, che è propria di una democrazia liberale, inclusiva, lungimirante.

Stefano Cianciotta

Presidente Abruzzo Sviluppo SpA