Le suggestioni distopiche che ci piovono addosso come pioggia acida ci offrono un quadro a tinte fosche delle nuove generazioni. La parola ottimismo assomiglia a un bug, all’errore di funzionamento di un sistema destinato al fallimento. Se uno studente prestasse attenzione a questa nutrita schiera di cassandre, probabilmente gli atenei dovrebbero lasciare il posto a luoghi di meditazione all’interno dei quali attendere la fine di un qualcosa di indefinito che assomiglia all’assenza di speranza, il tutto accompagnato dalla più scontata delle riflessioni: “Finché sei in tempo vattene da questo paese.”
Fortunatamente la vita ci regala però altro, fortunatamente i sogni di chi si sta iniziando a specchiarsi nella vita vera sono integri, resistenti e corrono distanti dalla palude del pessimismo cosmico che si sta dimostrando ben più tenace di qualsiasi virus.
Quasi quotidianamente mi confronto con centinaia di studenti in ogni angolo della penisola ed è fantastico assaporare un così profondo desiderio di essere padroni delle proprie esistenze, di prendere il comando della propria mente, di muoversi alla ricerca del proprio talento.
Siamo di fronte a delle generazioni di ventenni e venticinquenni che considero straordinarie. Per competenze, per capacità di relazionarsi e soprattutto per riuscire a farsi largo nonostante un mondo adulto imploso e spesso figlio di schemi sorpassati. L’approccio al lavoro è cambiato in meglio, molto in meglio mi verrebbe da aggiungere. Quasi nessuno è più disposto a immolare la propria esistenza in nome della carriera. Non si tratta di cialtroneria ma di saggezza.
Esiste dell’altro nella vita di queste nuove generazioni. I parametri in cui si muovono sono quelli della meritocrazia, dell’onestà intellettuale e della formazione autentica. Non hanno intenzione di fermarsi di fronte al primo stipendio che sarà sempre e comunque troppo basso, inadeguato, in molti casi addirittura mortificante. Sanno benissimo che il sacrificio non è un optional, ma questo non significa immolare la propria vita in nome di una scalata forsennata verso il nulla. Ho un debole per questi ragazzi, per la loro maturità e soprattutto per una mentalità che assomiglia a qualcosa di pulito. Conosco tanti giovani autori di start up folgoranti che si mettono o in gioco quotidianamente, forse potremmo definirli visionari, termine nobile e antico che è da sempre anticamera di qualsiasi cambiamento.
Solo chi non frequenta i giovani e non è disposto ad ascoltarli è prigioniero di antichi cliché, in quanto basta veramente poco per rendersi conto che è dal loro approccio alla vita che bisogna ripartire. Ovvio che i problemi sono infiniti, altrettanto scontato che l’Italia non offre a questi ragazzi quanto meriterebbero, ma ciò non è sufficiente a fermare il desiderio di fare, di esserci, di costruire nuovi paradigmi sociali che non riguardano solo la professione ma anche le relazioni interpersonali.
La mia esperienza in “Visionaria” è stata illuminante. Nel corso di questi anni, grazie alle indicazioni della Camera di Commercio di Chieti e Pescara, ho avuto il piacere di incontrare numerosi giovani imprenditori che hanno trovato il coraggio e le risorse morali, ancor prima che economiche, per avventurarsi in imprese di altissimo profilo. Esistono idee, esiste il desiderio di sfidarsi nonostante le tante congiunture negative. Inevitabilmente penso che quasi mai nella storia dell’uomo chi si è mosso verso il nuovo, abbia goduto di un robusto vento alle spalle. Chi si muove lo fa quasi sempre controvento. È una costante, non una variabile.
Infine un ultima considerazione, forse la più importante, la voglio riservare al territorio. La sfida nella sfida per molti è quella di realizzare qualcosa dove si è nati, di cambiare ciò che non sembra possibile cambiare, di scardinare quell’orribile concetto che ruota attorno alla rassegnazione, all’accettazione passiva che se nulla è cambiato sinora, mai potrà cambiare.
Il territorio è importante per questi ragazzi, il periodo in cui si sognavano solo ed esclusivamente terre lontane, a mio giudizio appartiene oramai ad un recente passato.
Tecnologia, radici, visione, umanità. Non si tratta di una ricetta segreta e neppure di una utopia. Questo è il mondo del fare. Questo è ciò che io con grande sollievo riesco a cogliere nelle parole e nelle azioni di tanti giovani. Quanto basta per credere che ancora il futuro ha le tinte dell’alba e non del tramonto.