A fronte di un nuovo secolo segnato da discontinuità frutto di molti avvenimenti (dall’ingresso della Cina nel WTO, alla crisi economico-finanziaria del 2008; dall’evento pandemico, alla guerra in Ucraina) che hanno portato ad una destrutturazione degli equilibri geoeconomici e geopolitici, non possiamo non chiederci come si colloca la nostra regione di fronte alle tante sfide aperte da questi scenari.
Una sfida prioritaria − che si pone a monte di qualsiasi riflessione sullo sviluppo − è rappresentata dal capitale demografico e l’Abruzzo, in particolare, è chiamato a confrontarsi con una distribuzione della popolazione altamente squilibrata: severa contrapposizione fra area costiera e area interna, laddove nei soli 19 comuni litoranei risiede circa il 35% del carico demografico, a fronte di una estrema rarefazione dell’assetto insediativo interno con oltre l’80% dei comuni (250 su 305 totali) con soglia demografica inferiore ai 2.000 abitanti.
Ciò si traduce, nelle aree interne, nel cosiddetto “circolo del declino” segnato da spopolamento progressivo, compromissione della struttura demografica, dequalificazione del patrimonio abitativo, peggioramento delle forme di welfare (sanità, scuole, accessibilità, commercio), diminuzione delle opportunità lavorative, ridimensionamento dei processi innovativi, flussi migratori in uscita e invecchiamento della popolazione. Il che porta a decretare una fragilità territoriale che tende progressivamente a sconfessare la montagna nel suo ruolo di presidio idrogeologico e della biodiversità con le inevitabili conseguenze alla più ampia scala regionale. La ri-territorializzazione della montagna diventa, allora, necessaria per una questione di sopravvivenza, oltre che di giustizia territoriale e di sviluppo sostenibile.
Per una regione come l’Abruzzo si richiede, quindi, una politica capace di una visione unitaria in grado di progettare il territorio in termini complementari e non conflittuali ragionando in ottica sistemica.
E a ben vedere, questa sfida territoriale ne sottende altre riconducibili a nuove prospettive che la regione e gli altri attori pubblici e privati sono chiamati a implementare nello scenario della globalizzazione: processi partecipativi (cooperazione interistituzionale), professionalizzazione del capitale umano, imprenditorializzazione delle reti di relazioni sociali (th. della co-creazione del valore), produzione di territori capaci di comunicare il proprio capitale territoriale, ricordando che non vi è sviluppo locale di lungo periodo senza capacità locale di governo dei fenomeni di sviluppo.