Ragazzi, Sorrisi, Responsabilità
Partirei da qui, da queste tre parole chiave, per me FONDAMENTALI.
Mi presento: sono Graziano Fabrizi e da grande non sapevo di dovermi occupare di sorrisi prima ancora che di Storia dell’arte. Sì, i sorrisi dei miei ragazzi, perché vedete, il loro sorriso è la risposta alle azioni che ciascun docente compie, o per lo meno lo è per me.
Ma a sorridere non sono solo i loro visini mezzi sbarbati, pieni di acne o di eye-liner o mascara, a sorridere è il loro presente. I ragazzi devono essere felici, sentirsi accolti, in sintonia con la curiosità e l’opportunità, sospesi nell’incertezza del non sapere cosa sarà di loro, immaginarsi chimici oggi, avvocati domani, designer a settembre o ingegneri a maggio.
L’incertezza è la risposta alla curiosità che non devono mai perdere, sorretta dalle opportunità e dalle esperienze che la scuola deve offrire loro. Ho detto “deve”, volutamente. E allora qui si aprirebbe un fascicolo, il primo che accumuna studenti e docenti, sapete qual è? Quello delle scuse! Quelle del “non si può, non abbiamo il materiale, non ci sono gli strumenti, non c’è tempo, dobbiamo finire il programma”.
Ma come si fa a dire ai ragazzi non c’è una soluzione senza prima aver tentato?
E come pensiamo che loro un domani possano trovarla, davanti ad una difficoltà?
“La Scuola è aperta a tutti”, recita così l’Articolo 34 della nostra amata Costituzione, quindi è un diritto costituzionale al quale io aggiungerei “…in cui si deve garantire il diritto stesso alla felicità formativa…”. Perché prima di ogni campanella è fondamentale l’esserci con la consapevolezza di un’opportunità concreta, felice, alla propria portata.
Offrire una via d’uscita, dare l’esempio, questo dobbiamo fare per i nostri ragazzi. Del resto mi chiedo: come si può pensare di formare se non si è disposti ad accogliere? Come possiamo pensare di usare costantemente mezzi e metodi di contrapposizione repressivi?? Non si può. Sarebbe un insuccesso vero, già annunciato, determinato dall’ennesimo brutto voto spesso usato come “strumento di repressione di massa” Ti metto 2 se…!
Una volta ho fatto scrivere davanti all’ingresso di un Liceo “Armatevi di Cultura per essere Liberi”
Ha funzionato, quella scritta campeggia ancora a caratteri cubitali davanti l’ingresso di un liceo.
Lo penso, e lo pensavano anche i miei studenti, perché credo nella scuola come l’opportunità dell’esserci per rivendicare il proprio spazio, e ditemi dove se non a scuola?
Il metodo d’insegnamento poi non può essere uguale per ciascun territorio, uguale per ciascuno dei quartieri di una stessa città, ma non lo può essere nemmeno per le stesse classi di sezioni diverse nella stessa scuola. Perché i ragazzi sono diversi, (che banalità, vero? Eppure…) le loro sensibilità sono diverse e allora come pensiamo che si possano approcciare ad una nozione, allo stesso testo, nello stesso modo, e riferirlo così come noi gliel’abbiamo spiegato? Ma spiegato o imposto?
La scuola e gli insegnanti dovrebbero avere l’intuizione di adattarsi ai bisogni educativi della comunità stessa, contribuendo a migliorare le cose rispetto a come le hanno trovate.
E per fortuna questo accade nella maggior parte dei casi, perché ci sono colleghi che si fanno davvero in quattro.
Allora proviamo a fare un esempio:
Avete davanti 25 studenti e l’argomento della vostra lezione è “vedersi davanti alla gelateria in piazza”. Dopo che avete spiegato e approfondito in classe questo argomento durante una lezione frontale, supponiamo che diciate ai vostri 25 studenti: “Bene, ci vediamo domani alle 16 davanti alla gelateria in piazza…”; poniamo anche che diciate “Vi raccomando, venite tutti in bicicletta, vi allego anche la mappa”.
Rapportiamo questo esempio a ciò che comunemente facciamo in classe: la nostra mappa diventerebbero libri e dispense, strumenti uguali per tutti.
Ora, ditemi, pensate davvero che possa essere la stessa cosa per tutti? Se qualcuno di loro avesse avuto un passato magari traumatico con la bicicletta? Se qualcuno abitasse in un posto più distante degli altri, e dovesse quindi percorrere una strada necessariamente diversa? Impiegare un tempo di percorrenza diverso?
Come si può pensare di non tenerne conto? Pensate che tutti possano essere entusiasti di questo appuntamento? Non pensate che a qualcuno possa anche passare la voglia di mangiarlo quel gelato? E magari vi rifilerà una serie di quelle giustificazioni che farebbero comodo ad una nuova sceneggiatura di un film di Vanzina?
Ecco, io, nel mio piccolo, faccio diversamente, fornisco gli strumenti, i consigli, do l’appuntamento e poi permetto loro di scegliere il mezzo più comodo ed a loro congeniale, illustrando opportunità di spostamento differenti, raccontando la mia esperienza per aggiungerla alla loro.
Cosa importa se si presenteranno a quell’appuntamento in bici o in macchina accompagnati, o a cavallo, o in monopattino? L’importante è rispettare l’orario, nel rispetto stesso di tutti.
Rispettare l’appuntamento è l’esser preparati sull’argomento, che non è più il punto d’arrivo, ma l’inizio della condivisione delle esperienze di ciascuno da condividere rispetto all’obiettivo raggiunto.
Altrimenti quando lo mangiamo il gelato? Se ci fermiamo sempre sull’uscio della porta di quella stessa gelateria, sindacando e valutando chi è venuto, come, perché Mario ha fatto ritardo e dobbiamo aspettarlo sempre, perché con Marta non ci arrabbiamo e con Ilaria sì?
Insomma, tocca a noi uscire dal loop di gestione di informazioni e nozioni, che non possono più essere solo traferite, ma devono essere condivise dopo aver avuto la libertà di sentirle proprie, per davvero. Solo così non sarà più necessario ricordarle mnemonicamente, ma racconteremo la nostra esperienza di studio avendo la curiosità di ascoltare quelle degli altri, che hanno percorso strade diverse, perché diversi siamo, per interessi curiosità ed emotività.
Ecco, io e i miei ragazzi da quasi dieci anni ci diamo appuntamento per scoprire le fragilità di Caravaggio o la solitudine di Simonetta Vespucci, colti dalla bellezza di condividere la storia dell’arte portandola ognuno nel proprio quotidiano, tenendoci sempre stretti i vortici di emozioni che gli imprevisti e la vita scolastica ci regala a cavallo di una bicicletta senza rotelle.