Innopaq, acronimo di Innovazione Sostenibile per le Produzioni Agroalimentari di Qualità, è un progetto innovativo che ha visto la partecipazione delle più importanti imprese della filiera agroalimentare abruzzese, unite con l’obiettivo di creare prodotti vegetali d’eccellenza, in maniera sostenibile per l’ambiente e per il consumatore finale.
La sperimentazione, condotta con l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e con il PlantLab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, vanta risultati d’eccellenza nella produzione di colture a basso impatto ambientale e nel loro reimpiego per il recupero delle corrette funzionalità dell’organismo umano.
Discutiamo del progetto con il Professor Alfredo Miccheli del Dipartimento di Biologia Ambientale, consulente scientifico del progetto assieme al suo team multidisciplinare dell’Università La Sapienza di Roma.
Professor Miccheli, che cosa è Innopaq e a quali importanti risultati ha condotto?
Innopaq è un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Abruzzo nell’ambito del POR FESR Abruzzo 2014-2020 che ha come obiettivo principale quello di promuovere la qualità e la sostenibilità della filiera agroalimentare abruzzese, attraverso la creazione di una rete strutturata di collaborazione fra imprese ed istituti di ricerca.
Partendo dal know how della capofila del progetto, la Valagro s.p.a., azienda leader nella produzione di soluzioni per la nutrizione sostenibile delle colture, si è costituita una filiera aziendale che ha coinvolto l’Azienda Agricola Aureli Mario, azienda leader nella produzione di ortaggi, succhi vegetali ed ingredienti per l’industria alimentare; Pescaradolc, azienda titolare della Dolciaria Falcone; Newlat Food SpA, proprietaria del brand di pasta Delverde, la Società Consortile AGIRE (AGroIndustria, Ricerca, Ecosostenibilità) volta a sperimentare un modello di collaborazione tra imprese operanti nel settore agroalimentare abruzzese e complementari tra di loro, puntando su innovazione e sostenibilità per accrescere la qualità dei prodotti della filiera, a vantaggio della competitività del comparto agroalimentare regionale.
Tra i diversi obiettivi del progetto, si è valutato la risposta di alcune tipologie di vegetali alla somministrazione di biostimolanti e biofortificanti: si tratta di miscele naturali che, possono migliorare la composizione biochimica e la valenza salutistica dei prodotti agricoli, ne aumentano la resistenza biologica, consentendo un minore impiego di acqua e risultando, dunque, più sostenibili nel tempo: insomma, un doppio guadagno, per l’uomo e per l’ambiente
Il miglioramento della composizione nutritiva di un vegetale, altro obiettivo del progetto, attraverso pratiche agronomiche, l’uso di biostimolanti e biofortificazione del terreno, il controllo del processo di lavorazione e trasformazione dal campo allo scaffale utilizzando metodi tecnologici, si riflette sulla qualità del prodotto fresco e dei suoi derivati di trasformazione e, da qui, sugli effetti benefici per la salute umana.
Una sperimentazione pioneristica per il nostro territorio, che molto deve alle sue risorse naturali ed agricole.
Certamente, l’Abruzzo è una terra ricca di risorse agricole e agroalimentari, che da sempre ha a cuore la qualità dei propri prodotti e il rispetto delle materie prime. Bisogna, però, tenere conto del fatto che la linea alimentare sta cambiando e con essa il modo di produrre, trasformare e commercializzare i prodotti: oggi non basta più studiare le proprietà degli alimenti, occorre adottare strategie per preservarle nel tempo, in modo naturale e biologico, con un occhio di riguardo alla salute dell’ambiente e dell’uomo.
Le aziende coinvolte si sono dimostrate, in questo senso, aperte ed intraprendenti: hanno messo a disposizione il proprio know-how, stimolando l’interlocuzione costante con i reparti interni che si occupano di ricerca e sviluppo e hanno agito con la massima trasparenza, curando nel dettaglio la parte burocratica e amministrativa. Questo ci ha permesso di lavorare con maggiore apertura, sfruttando al massimo le possibilità offerte dai finanziamenti europei e regionali.
A proposito di questo, che peso ha avuto la collaborazione con i partner europei e istituzionali per la piena realizzazione del progetto?
È stata fondamentale, per lavorare con serenità al progetto e soprattutto per assicurare continuità alla ricerca. Uno dei problemi fondamentali degli studi applicati all’impresa è che l’orizzonte temporale è molto ampio, perché durante una sperimentazione è fisiologico imbattersi in errori o fallimenti, dopo i quali è necessario correggere il tiro e ricominciare. Ma è solo in questo modo che nascono nuovi progetti e si raggiungono obiettivi di prestigio: bisogna avere tempo e voglia di riprovare e i finanziamenti europei, nazionali e regionali consentono ai ricercatori e alle aziende di costruire progetti durevoli, realizzabili e realizzati nel lungo periodo.
In questo senso, avere partner industriali che colgono l’importanza della collaborazione istituzionale, e dunque agiscono nel pieno rispetto delle procedure e dei protocolli di legalità, ha rappresentato un presupposto fondamentale per la nostra ricerca e, in generale, per il raggiungimento dei nostri obiettivi, perché ha creato un hummus fertile per la nascita di nuove idee condivise, basate sulla qualità e sul sostegno reciproco.
In che direzione vanno, oggi, i vostri studi Professor Miccheli?
Al momento stiamo portando avanti, sempre grazie alla collaborazione con alcune aziende abruzzesi, Valagro s.p.a. e Azienda Agricola Aureli Mario, un progetto PON MISE incentrato sull’impiego di biostimolanti e biofortificanti per la coltivazione di patata, carota viola e della barbabietola rossa, con lo scopo di migliorarne la composizione metabolica e favorirne la resistenza biologica.
In parallelo, stiamo per pubblicare i primi risultati di un importante trial clinico svolto in collaborazione con l’Ambulatorio Long Covid del Policlinico Gemelli e con l’R&D della Azienda Aureli, nel quale abbiamo investigato la risposta dell’organismo umano all’assunzione di prodotti vegetali nel ridurre l’impatto di eventi patologici.
Ebbene, si è visto come proprio l’impiego del succo di barbabietola rossa favorisca, nel tempo, un miglioramento dello stato infiammatorio e del microbiota intestinale in soggetti affetti da sindrome di post covid-19: un risultato straordinario, che conferma ancora una volta l’importanza per il nostro organismo di un’alimentazione sana e studiata dal punto di vista agronomico e nutrizionale.
Per chiudere un consiglio ai giovani imprenditori, che sempre più oggi si misurano con i temi come la sostenibilità, il rispetto dell’ambiente e l’utilizzo consapevole delle risorse del territorio.
A mio avviso le parole d’ordine sono due: coraggio e fantasia. È necessario essere creativi e provare ad aprire il proprio sguardo verso nuovi orizzonti, superando gli schemi precostituiti e le mode consolidate, rispetto alle quali si è, per forza di cose, sempre secondi: la ricerca applicata all’impresa è un campo in continuo fermento, specialmente nell’agroalimentare, ed è indispensabile che studiosi ed imprenditori continuino a dialogare ed aprirsi reciprocamente, con curiosità e fiducia, perché solo così sarà possibile sviluppare tecnologie innovative, sicure e sostenibili nel tempo.