L’imprenditoria non ha genere. Non smetterò mai di ribadirlo. Ogni volta che mi viene chiesto cosa ne penso dell’imprenditoria femminile, salto sulla sedia. Ma, allo stesso tempo, non posso non guardare come le donne, ogni giorno, incontrino più difficoltà degli uomini.
Difficoltà finanziarie, di gestione lavoro famiglia ma, soprattutto, di ordine culturale. Dopo l’avvento della pandemia, sembrava quasi scontato che, a casa, dovessero restare le donne e che, a chiudere, fossero soprattutto le attività femminili.
Per una scarsa propensione alla tecnologia, dicono gli esperti che commentano i dati. Per i loro essere madri, penso io. In un paese che sta invecchiando più velocemente degli altri, dove si discutono le misure per favorire la natalità, mi chiedo come sia possibile che l’essere madri sia visto come un limite e non come una opportunità per il paese. La maternità dovrebbe andare di pari passo con l’essere imprenditrici, lavoratrici o semplici impiegate. Non dovrebbe esserci un “o/o”. Ma un “e” che coniuga talento e capacità organizzative, creatività e pianificazione. Non bisognerebbe togliere alla vita delle donne, ma solo aggiungere, in modo che la loro soddisfazione possa trasformarsi in energia per il paese. Io ho avuto la fortuna di avere fatto nella mia vita il lavoro che mi piaceva. Ed è per questo, credo, che sono ancora qui con la voglia di fare. Fare anche per le mie colleghe donne, affinché non abbiano mai una opportunità in meno ma, semmai, sempre una in più. Perché la galanteria non è una questione di genere ma solo di rispetto e ammirazione.