Lo scorso aprile è stata presenta a Milano la sesta edizione del Rapporto Design Economy, realizzato da Fondazione Symbola, Deloitte Private, Polidesign, in collaborazione con ADI, Comieco, Circolo del Design e Cuid.
L’indagine presenta lo stato di salute delle industrie italiane attive nel campo del design e del made in italy, fornendo approfondimenti riguardo le produzioni, gli investimenti e le competenze richieste dalle imprese, con un occhio di riguardo al tema della sostenibilità, un tema centrale in questo periodo, tanto più nel settore del design, che da sempre si caratterizza per innovazione, ricerca continua e attenzione ai materiali e alla circolarità.
Il rapporto restituisce dati più che positivi, in specie con riferimento al valore aggiunto prodotto dal settore e ai suoi livelli occupazionali. L’Italia si conferma, infatti, il Paese europeo con il maggior numero di imprese in ambito del design (36 mila in totale, in rialzo rispetto allo scorso anno), per un totale di 63 mila lavoratori occupati, con un valore aggiunto pari a 2,94 miliardi.
Se anche quest’anno Milano si conferma capitale del design, con una densità di imprese pari al 14,3% del totale e con una presenza molto elevata di liberi professionisti e lavoratori autonomi, ottimi risultati raggiungono anche Roma, Torino, Firenze e Bologna, dove si concentra quasi il 40 % del valore aggiunto di tutto il Paese.
Inoltre, sebbene inferiore alla media nel campo del design, l’Abruzzo, dopo il Friuli-Venezia Giulia, l’Umbria e la Toscana rientra fra le regioni a forte specializzazione nel Made in Italy, a testimonianza degli interessanti processi evolutivi in atto sul territorio nel campo dell’artigianato creativo, dell’oreficeria e dell’arredamento.
Quanto al legame con la transizione ecologica, il rapporto evidenzia la marcata vocazione alla sostenibilità delle imprese attive nel campo del design e del Made in Italy: in particolare le PMI, per quanto spesso rallentate da una carenza strutturale di risorse, manifestano un’attenzione molto elevata al territorio in cui sono inserite e dimostrano di ricorrere spesso al riciclo dei materiali (ad esempio in settori come la produzione di carta, mobili, ghisa, alluminio e acciaio), raggiungendo un tasso di circolarità di circa il 50% sul totale dei materiali impiegati. Ottimi risultati raggiungono, in particolare, i settori dell’arredamento, dell’agroalimentare e del tessile, dove è ribadita l’importanza di adottare i principi dell’ecodesign in tutte le fasi della filiera, considerato il consistente utilizzo nelle produzioni di materie prime e risorse naturali.
Buoni anche i dati relativi alla formazione: in crescita le istituzioni che offrono corsi di studio o specializzazione in Design, fra cui spiccano, oltre alle Università, gli Istituti privati autorizzati, le Accademie Legalmente Riconosciute, le Accademie delle belle arti e gli ISIA. Un’offerta eterogenea e in crescita, che contribuisce a diversificare le professionalità e approfondire le competenze. Ciò risulta efficace anche e soprattutto in ottica occupazionale: complessivamente, infatti, tra i laureati magistrali in Design il tasso di occupazione è pari al 90,8%, valore superiore all’88,1% rilevato sul complesso dei laureati magistrali biennali in Italia.
In definitiva, il rapporto traccia i contorni di un settore vitale, resiliente e, anzi, in piena evoluzione, abituato ad operare nella complessità e, per questo, pronto ad affrontare le sfide della transizione ecologica e tecnologica: nonostante le difficoltà legate alla pandemia e al crescente costo delle materie prime, infatti, il settore del design e del Made in italy si candida, anche quest’anno, come driver di innovazione per l’intero ecosistema culturale e creativo.