Intervista a Fabio Luciani, professore in immunologia e machine learning all’University of New South Wales di Sidney
“Nessun calcolatore 9000 ha mai commesso un errore o alterato un’informazione. Noi siamo, senza possibili eccezioni di sorta, a prova di errore, e incapaci di sbagliare” – HAL 9000 dal film “2001, Odissea nello spazio”, di Stanley Kubrik.
Il supercomputer HAL aveva ragione: le macchine sono infallibili, perché il funzionamento di queste non dipende da loro, ma dalla bontà di come sono state programmate dai loro creatori, un dato di fatto che si insegna a qualsiasi corso di programmazione in informatica.
L’intelligenza artificiale è uno di quei paradigmi su cui i settori dell’informatica, o information technology, e non solo, si sta concentrando di più in questi anni e di cui si parla maggiormente.
Lo vediamo nei mercati finanziari, nelle politiche nazionali, ricordiamo l’AI act ultimamente stilato dall’UE, nei primi tentativi di sensibilizzazione in imprese, scuole e associazioni, iniziative ed azioni che portano bei risultati, ma qualche volta anche effetti un po’ meno piacevoli: basti pensare ai primi licenziamenti in molte Big Tech, tra cui Amazon e Google, a seguito della sostituzione o integrazione di alcune mansioni grazie alle IA, o allo sciopero degli attori di Hollywood.
Poi ci sono loro, i leader del mondo del web come Meta, Google e Amazon, che stanno iniziando ad abbozzare sul come introdurre in modo sostanziale le IA nei loro prodotti, come c’è chi cavalca l’onda in modo più concreto, creando le basi hardware per il suo funzionamento, come la NVIDIA, una delle aziende leader per la produzione di schede grafiche per computer, che ha visto un aumento del 265% dei ricavi rispetto all’anno precedente, a seguito della forte richiesta di architetture per il funzionamento ottimale dei software generativi, tra tutti l’open source per immagini Stable Diffusion.
E in Italia? La mancanza di competenze frena l’adozione delle tecnologie di intelligenza artificiale; ciò si traduce in un ostacolo per il 55,1% delle imprese che hanno preso in considerazione l’utilizzo delle tecnologie IA senza poi adottarle, tant’è che solo il 5% di aziende con 10 addetti e più utilizzano al momento questa tecnologia, dati ISTAT sul 2023.
Come coniugare quindi questa nuova evoluzione del mondo digitale, potente, dalle quasi infinite sfaccettature, di cui a volte si ha paura, ma che si deve iniziare a comprendere e integrare, come è avvenuto per altri processi di innovazione, con la vita e il lavoro di tutti i giorni?
Ce lo spiega Fabio Luciani, professore in immunologia e machine learning alla Scuola di scienze mediche dell’University of New South Wales di Sidney.
Ci racconti del suo percorso.
In breve, sono di Lanciano, in provincia di Chieti, dove ho studiato fino al liceo scientifico.
Una volta diplomato, mi sono iscritto alla facoltà di ingegneria della Federico II di Napoli, ma ho poi terminato il percorso universitario in fisica teorica. Il seguito è stato tutt’altro che scontato. Ho iniziato ad appassionarmi alla medicina e da qui i miei studi in immunologia a Bologna con il professor Claudio Franceschi, per poi conseguire un dottorato di ricerca interdisciplinare tra fisica, immunologia e modelli matematici, in Germania. Successivamente sono approdato a Sydney, nel 2005, dove ho continuato a coltivare la mia passione per il settore interdisciplinare, facendo ricerca in vari campi tra cui genomica, epidemiologia e malattie virali, concentrandomi in particolare sui modelli predittivi per malattie come la tubercolosi ed epatite C.
Negli ultimi 3 anni mi sono concentrato sull’intelligenza artificiale, su cui ho comunque sempre lavorato, lanciando una startup che consiste nel creare gemelli digitali: avatar di pazienti che, grazie all’intelligenza artificiale, permettono di predire chi può beneficiare di una immunoterapia e chi no. Un approccio che permetterà di fornire una terapia su misura all’individuo, prevenendo effetti collaterali e avvisandolo su modifiche da apportare per ottimizzare il trattamento.
ASC27 è una start-up con cui sta collaborando, il cui CEO, Nicola Grandis, è abruzzese come lei. A cosa state lavorando?
ASC27 è una start-up innovativa italiana che si sta mettendo alla prova in due aree significative del campo dell’information technology: intelligenza artificiale e cybersecurity. A differenza della start-up avviata a Sydney, con Nicola, anche lui di Lanciano, ci stiamo concentrando sull’utilizzo dei dati della sanità pubblica per poter predire le migliori cure o diagnosi per i pazienti del territorio. Presto avrà una delle sue sedi anche a Chieti.
Ci può spiegare meglio quali sono gli obiettivi che sta cercando di conseguire con l’intelligenza artificiale applicata all’immunologia per curare malattie autoimmuni e il cancro?
Questo è il focus della mia start-up in Australia, e ASC27 potrebbe essere coinvolta in questo percorso. Stiamo studiando la miglior soluzione per questo tipo di applicazione, in quanto paesi diversi comporta l’esistenza di regole e dati sanitari diversi. L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui i medici fanno diagnosi di malattie comuni, come diabete e cancro, ma anche di malattie rare come malformazioni genetiche. E’ un processo che non può essere fermato e, come già ho detto, si passerà ad un’applicazione dell’IA non solo per diagnosi più precise, ma anche per cure ad hoc.
Questo è il progetto che cerco di conseguire: migliorare le immunoterapie che sono già sul mercato o che stanno per essere immesse, e non sono poche, parliamo di vere e proprie “ondate” di prodotti, per migliorare la qualità della vita dei pazienti e guarirli con percentuali di riuscita migliori.
Un parere personale sull’Intelligenza Artificiale?
L’intelligenza artificiale ha raggiunto livelli avanzati in termini di precisione e predizione in vari campi, tra cui l’analisi di dati finanziari, la comunicazione, e il settore dei trasporti. Nel campo della medicina siamo ancora agli inizi, ma con prospettive sbalorditive. Si è partiti bene con la diagnostica, dove le IA hanno una precisione e accuratezza più alta dell’uomo. Ovviamente questo non vuol dire che non abbiamo più bisogno di medici. Semplicemente vuol dire che i medici possono usufruire di nuovi strumenti per una diagnosi molto precisa e quindi riuscire a trattare i pazienti in maniera più personalizzata. Ci sono tantissime prospettive future, tra cui l’utilizzo di questa nuova tecnologia per decidere la cura migliore o per predire se un paziente avrà effetti collaterali da terapie che sta già assumendo, e tanto altro ancora. Penso che l’IA permetterà anche una sanità più efficiente e meno costosa, e darà anche spazio a tanti giovani dal punto di vista lavorativo.